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RadioCivetta con il permesso dell'autore, lo scrittore Professore Vito Teti, ha il piacere di pubblicare quanto pubblicato ieri su  “Il Quotidiano di Calabria”, sabato 26 aprile 2008, pg. 1 e pg. 56  In ricordo dello scrittore e giornalista Sharo Gambino, scomparso a Serra nella notte tra il 25 e il 26 aprile.
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Mentre scrivo, piango. E ogni lacrima che scende è un fiume di ricordi, di emozioni, di sentimenti. cascata.jpgPiango Sharo Gambino, il poeta, lo scrittore, il narratore delle Serre, di Serra S. Bruno e di Vazzano, di Nardodipace e Ragonà, dei paesi minuti e ricchi di storia, aperti e isolati; il cantore delle cose piccole e profonde, dei boschi e dei fiumi, dell’Ancinale e di Subcinum, della Certosa e delle carbonaie; il cantore degli “ultimi”, dei briganti, degli eroi nascosti, degli uomini contraddittori di questa terra, di Vizzarro e dei rivoltosi di Caulonia, di Gesuino, il protagonista di Sole nero a Malifà (uno dei più bei romanzi della nostra letteratura), e delle ragazze al fiume, degli emigranti e delle figure inquiete, dei ribelli e degli sconfitti.


Nei vinti, nelle storie comuni, marginali, negli scarti della cultura ufficiale e della storia egli trova la “materia” per dare solidità, spessore, anima alla sua scrittura e al suo legame profondo con i luoghi. Con “realismo” e con “magia”. Da illuminista e insieme da romantico. Con un’attenzione ai luoghi che poteva sembrare “superata” e che adesso appare innovatrice, anticipatrice di poetiche e di estetiche, di etiche e di antropologie, proprie del periodo in cui “locale” e “globale” dialogano e si rincorrono.


La mappa dei luoghi tracciata, disegnata, ripercorsa, inventata da Sharo diventa improvvisamente più povera, più triste, smarrita, quasi senza memoria. Perché i luoghi erano Sharo e Sharo era i luoghi, che disegnava, amava, accoglieva anche quando gli provocavano dolore e sofferenza.

Piango lo studioso, il critico, il ricercatore, lo scopritore di Mastro Bruno e il primo lettore critico della Ceceide di Ammirà, lo studioso (il primo) della ‘ndrangheta e della poesia dialettale, dei canti di protesta e dei detti del mangiare, il giornalista dei mille e mille articoli e il valorizzatore di poeti sconosciuti, di artigiani ignoti, di storie minute, di luoghi nascosti: di “microstorie” e “piccoli luoghi” che fanno la Calabria ricca, profonda, complessa e che sfugge ai più, a coloro che si fermano in superficie, che non hanno voglia di scavare e di camminare.

Piango - e credo che la Calabria intera pianga – il raccoglitore di voci sommerse, il conoscitore di storie e di proverbi, l’autore di splendidi racconti e di bellissimi romanzi.

Piango l’uomo che era la stessa “cosa” del poeta, dello scrittore, del critico, del pittore, che ha smentito la distanza tra letteratura e vita, che ha mostrato come un grande artista può e deve essere un grande uomo. La scrittura per lui era vita, ma egli non confondeva la vita con la letteratura: i suoi romanzi e i suoi scritti li amava come si amano le proprie creazioni, ma i suoi grandi “romanzi” si chiamano Melina (la moglie), Sergio, Marinella, Tiziana, Cinzia, Rossana, Silvia. Con loro e con le tante persone a lui care (fratelli, parenti e amici di tutte le Calabrie, persone notissime e figure sconosciute) egli ha scritto il “romanzo di una vita”, la favola di una vita. Consegnato alla scrittura e alla ricerca, ha avuto il tempo e la grazia di essere marito amabile, padre premuroso, nonno incantevole, cultore dell’amicizia e degli affetti.

Piango l’amico generoso e leale, la persona con cui ho condiviso tanto dalla metà degli anni settanta: mai una tensione, mai una discussione. Sharo era disarmante nella sua bontà, nella sua generosità, nel suo senso profondo dell’amicizia. Sempre garbato, mai una parola fuori posto: non sapeva pensare male. Si stupiva del male del mondo, e quando si indignava – con passione civile e profondo senso etico – lo faceva con pacatezza, con un grande sentimento di pietas.

serrasbruno.jpgIl più calabrese degli scrittori calabresi di questi ultimi decenni, era, forse, il meno calabrese di tutti, quello che si era allontanato (per scelta e per natura) dalla Calabria dei conflitti e dei contrasti, della retorica e delle mode effimere. Serra S. Bruno, la cittadina in cui viveva (era nato a Vazzano da lui tanta amata e raccontata), costituiva per lui un universo, un luogo scelto, ma anche un rammarico, come capita a chi sa guardare ai luoghi con tanto amore, a volte con amarezza, ma anche con tanta indulgenza. Egli ha avuto, o scelto, il “destino”, eroicamente interpretato, di restare, di non essere fuggito, da se stesso e dai luoghi. Non senza rimpianti, talora con dolore, con molti sogni e con tanti disagi, si è assunto il peso di narrare i luoghi con lo sguardo di chi è rimasto, senza inventare una sorta di retorica o di estetica del “rimasto”. La sua nostalgia non diventa mai rimpianto del “buon tempo andato”, ma appare “passione” e pietas per gli abitatori di un universo scomparso, per un mondo di uomini e cose che non esiste più. Con Sharo se ne va una parte fondamentale di una Calabria vera, scarna, sobria, profonda, delicata, antica, ormai insolita e desueta, quella Calabria di cui avrebbe bisogno anche la nuova Calabria che fatica a nascere e ad affermarsi.

Mi mancherà il tuo sguardo intenso e benevolo, Sharo, avrò nostalgia delle tue telefonate in cui esordivi scherzando “Che succede”… e finalmente”; “Da quale parte del mondo torni?”. Il mio mondo interiore diventa più povero. Ricorderò l’ultima estate, quando già ammalato e stanco, sei stato nel mio paese fino alle due di notte, per ascoltare attento i miei testi, in una serata di festeggiamenti organizzata per me.
Ricorderò l’ultima telefonata dell’altra sera in cui tu mi comunicavi che volevi vedermi (forse le ultime avvertenze e l’ultimo saluto) e che ti eri fatto portare il certificato elettorale in ospedale, a Nicastro, per votare me. Mi hai fatto lo scherzo, tu, questa volta, di non rivederci. Gli amici si sono detto tutto da sempre, caro Sharo, e resterà sempre qualcosa che non si sono detto.
Per gli amici non esiste mai l’ultima volta. E’ intollerabile. C’è sempre un poi, un domani, qualcosa che resterà aperto anche quando uno dei due avrà intrapreso un altro viaggio. Soltanto il ricordo, forse, attenuerà il senso di inadeguatezza che avverto nei tuoi confronti, che mi spingerà a coltivare la cura, il riguardo, la pazienza, la religiosità naturale che mettevi nei rapporti. Qualche lacrima si è asciugata. Perché, mentre scrivo, penso che hai lasciato tante cose, hai consegnato memorie ed affetti, libri e storie, e sarai ancora con noi. Farò di tutto perché la Calabria sappia riconoscere i suoi poeti e i suoi grandi uomini, i luoghi e le storie da loro raccontati, e così mi sembrerà di continuare a parlarti, a dirti, come spesso avveniva, “ciao grande scrittore come va?” e tu a dire sempre “va bene”, “me la cavo”, “sono contento della famiglia” e di “quello che scrivo”. Non te la sei “cavata”, Sharo, hai fatto molto di più, hai compiuto miracoli: hai dato “testimonianza”, fornito modelli, lezioni, fiducia e speranza a tanti di noi che in questa terra si trovano spesso a pensare che è difficile e quasi impossibile cavarsela. Ciao Sharo e grazie
                                                                                                         Vito