Mio padre ha coltivato per tutta la vita, con religiosa sacralità, la figura di suo padre, l'autore di questa raccolta di memorie su due grandi terremoti, quello che si abbattè sulla costa ionica italiana la sera del 23 ottobre 1907 alle ore 21 e 25, dell'ottavo grado della scala Mercalli, con epicentro proprio a Ferruzzano che annientò; l'altro , il terremoto seguito da maremoto del 28 dicembre 1908 alle ore 5 e 21 della mattina durato 37 interminabili secondi del decimo grado della scala Mercalli che devastò Reggio e Messina e tutto il territorio intorno. Cataclismi che visse direttamente. Vi perse la madre Elisabetta Romeo e il suo amatissimo zio Beniamino; lo zio Giuseppe, il notaio, ebbe la schiena spezzata e restò paralizzato tutta la vita. Beniamino e Giuseppe, fratelli di suo padre Domenico. Questi tragici eventi sconvolsero e segnarono la sua vita per sempre.
Durante quel terribile delirio della natura, famiglie intere furono spazzate via tra le quali quella di Giovanni Romeo mio bisnonno. Con lui morirono la moglie Maria Teresa Moio e le due figlie, Francesca di 20 e Agata di 16 anni. Sopravvisse, perché fuori paese, solo il figlio Domenico, da tutti chiamato "il signorino Romeo", padre di mia madre Teresa, onorato nel corso della sua vita con la meritata attestazione di Cavaliere del Lavoro.
Mio padre, con una dedizione ormai perduta tra figli e padri, ha nei decenni portato nel cuore l'icona del padre, curando che la sua memoria non andasse perduta e ha chiesto a me di continuare a ricordare. E così questa è una presentazione di famiglia. E per amore di mio padre e della mia gente ho accettato di scrivere di mio nonno, alla cui morte io avevo soltanto tre anni. L'ho amato per il suo sguardo buono che mi ritornava da una sua foto devotamente posta sul buffet della camera da pranzo nella casa della mia infanzia e della mia prima giovinezza, la casa dei miei genitori. L'ho conosciuto dai suoi scritti e dalle testimonianze affettuose e rispettose di chi ha vissuto il suo tempo e anche il mio. Parlavano e parlano di lui chiamandolo "il maestro Marando", perché, benché fosse laureato in Farmacia e avesse una sua farmacia che gestiva più come un ente caritatevole che come commercio- il più delle volte donava le medicine ai bisognosi che erano tanti- ha svolto con amore la professione di maestro elementare e di direttore didattico. Mia nonna, Ernesta Modafferi, sua moglie, era quella che si doveva occupare delle cose prosaiche della vita e spesso si lamentava, bonariamente, dello scarso senso pratico di mio nonno e del suo disinteresse per il "ile danaro" con cui però bisognava fare i conti per portare avanti una famiglia numerosa. Elisabetta, Domenico, Eleonora, Beniamino, Teresa, Romolo, mio padre, e Giuseppe Vincenzo sono nati dal loro matrimonio, oltre ad altri due figli morti in tenerissima età per malattie infettive che allora, nei primi anni del novecento, falciavano molte vite. Tragico è il destino dei genitori che sopravvivono ai propri figli!
Il maestro Marando amava la sua Famiglia e il suo Paese, era rapito dal mondo e dalle cose. Aveva un animo buono, curioso e intelligente.
Da Ferruzzano in un secolo sono partiti, e ancora partono, migliaia di persone per cercare una nuova patria dove potere ricominciare a vivere dignitosamente. Emigranti che con il loro lavoro e i loro sacrifici, nei vari continenti, dall'Europa alle Americhe fino in Australia, hanno fecondato le terre che li hanno accolti ricordando Ferruzzano e insegnandone ai figli la storia.
E siamo emigrati anche noi, dall'Italia per l'Italia, ancora adolescenti, per studiare nelle università di altre regioni. Fino a una manciata di anni addietro in Calabria non esistevano università. Ragazzi emigranti, costretti a lasciare le nostre famiglie e non siamo più "tornati a casa" siamo in molti rimasti nelle città dove abbiamo studiato e lavoriamo, ma non abbiamo patria. Abbiamo lasciato lì le nostre radici e i nostri affetti tra i più sacri: genitori e fratelli. La nostra vita si è dovuta costruire altrove e non possiamo più tornare se non per qualche breve vacanza e a ogni partenza si rinnova l'amarezza
Mi piace pensare che, con la pubblicazione di questo libro, la sua seconda edizione, mio nonno operi ancora per la comunicazione e l'unione tra i cittadini del nostro mondo inviando un messaggio a chi, anche in paesi lontani, ricorda Ferruzzano perché si alimenti la speranza della creazione di una nuova solidarietà tra tutti coloro che in ogni parte della terra portano nel cuore, anche dopo più generazioni dalla grande migrazione, il ricordo di questo piccolo grande paese.
Si racconta ancora come i 'ferruzzanoti" lo prendevano amorevolmente in giro e lui umilmente accettava senza arrabbiarsi mai, era un mite, perché, già nei primi anni del 1900 lui enunciava che presto l'uomo sarebbe andato sulla luna. E l'uomo è andato sulla luna. Correva l'anno 1966. Lui credeva nella scienza. Era nato nel 1884. Ed eccoci ai nostri giorni, nel terzo millennio. Molti suoi pronostici si sono avverati. La scienza ha avvicinato in un attimo paesi irraggiungibili.
In ognuno di noi quello che leggiamo evoca ricordi ed emozioni che sono solo nostri, tocca la nostra anima in modo speciale e così ognuno di noi avrà la sua visione del mondo e delle cose e farà le sue proprie considerazioni. Io Vi invito solo a leggere con il cuore queste memorie, pubblicate per la prima volta nel 1910 e qui riportate integralmente, scritte da un giovane uomo che si affacciava alla vita ma che tanta morte aveva visto, perchè con il cuore le ha scritte.
Ferruzzano 23 ottobre 2007 Ernesta Adele Marando
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